Ci sono giorni in cui tutti i tuoi sforzi e le tue mille perseveranze trovano finalmente un riscontro pratico. Giorni nei quali ti senti appagato e felice per aver fatto bene tutto quello che dovevi, sono quei momenti nei quali trovi la conferma che, dopotutto, come diceva un tizio in un film famoso….

Riflessioni…

Nel mio lavoro, frequentemente, non si ha l’idea dell’impatto che ha ciò che facciamo sulla vita del paziente e delle persone che lo circondano. Spesso diamo il meglio di quello che abbiamo da offrire, pensando nei termini del nostro turno di lavoro. Difficilmente ci rendiamo conto che il nostro lavoro, quando ha successo (cioè quando la persona esce dall’ospedale in salute e con una buona qualità di vita), resta impresso per sempre nella vita di una persona.

Il periodo, più o meno lungo, che una persona affronta in ospedale, soprattutto se in reparti di emergenza/urgenza, resta per molto tempo indelebile nel paziente e le persone che lo hanno mantenuto in vita per giorni o addirittura mesi, sono investite di un senso di gratitudine immenso da parte del paziente e dei familiari.

Ho avuto modo di vedere, in un paio di occasioni, che infermieri e medici dei reparti “salva vita” diventano, per qualche mese dopo la conclusione felice del periodo in reparto, delle persone alle quali, in modo più che giustificabile, io paziente devo la vita mentre i familiari devono, spesso, il non aver perso un affetto che si ritiene fondamentale.

Questo punto di vista, spesso, viene dimenticato da chi lavora in ospedale. Quando ti vengono a cercare persone che ricordi ma alle quali da un po’ di tempo non pensi più e vengono a trovarti in piedi, che camminano e parlano, dopo che tu l’ultima volta le avevi salutate da sdraiate e ancora molto dipendenti dagli infermieri e da strumentazioni o farmaci…beh sono soddisfazioni immense.

Qualche giorno fa, mentre ero a lavoro, ha citofonato alla porta della rianimazione una paziente, assieme al marito, che avevo salutato al momento della sua dimissione verso un polo riabilitativo privato, quando ancora lavoravo in riabilitazione. La sua storia era stata davvero molto impegnativa e, come sempre, lo era stata anche quella di chi l’aveva accompagnata: il marito.

Queste due persone mi sono venute a cercare in un reparto (la rianimazione) che si trova da tutt’altra parte rispetto a dove la donna era ricoverata, per potermi salutare e farmi vedere i “loro” progressi. Sono venuti a salutarmi perchè il legame stabilitosi dopo 3 mesi di ricovero era abbastanza intenso a livello lavorativo e anche umano.

È stato un momento bellissimo, che mi resterà impresso per mesi e mi darà molta energia ed entusiasmo per “fare” e migliorare sempre di più. Questa persona mi ha abbracciato e mi ha raccontato tutti i suoi ultimi mesi nei quali non ci siamo visti e lo ha fatto con una lucidità mentale che non avevo mai visto e che non pensavo potesse mai più raggiungere. Le persone ti stupiscono sempre, questa è una grande verità. L’avevo lasciata che non riusciva a camminare a causa della debolezza muscolare dopo 3 settimane di neurorianimazione e tre mesi di riabilitazione, tutti passati a letto. La comunicazione era sempre stata molto rallentata e i pensieri spesso distorti da una soggettività alterata da patologie e farmaci. Vederla così “normale” e incredibilmente colta nel vocabolario, raffinata e nobile nei movimenti e coordinata nei pensieri…è stato lettaralmente NON CREDIBILE, NON PENSABILE. IRRAGGIUNGIBILE.

Questo mi ha dato l’idea dell’impatto del mio lavoro sulla vita di quella donna e di suo marito e dell’impatto, della differenza, che il lavoro che faccio come infermiere può avere sul futuro delle persone che noi infermieri e medici assistiamo.

Non pensiamo spesso a questo, ma chi abbiamo aiutato sembra pensare molto spesso a noi e all’opportunità che per loro abbiamo rappresentato per riconquistare la propria vita, in senso letterale.

Soddisfazioni.

Circa una settimana fa ho incontrato una cara amica, infermiera specializzata in cure palliative domiciliari, che mi ha chiesto come andasse il mio percorso nella nuova terapia intensiva in cui lavoro. Credo sia presto per dire come vada, credo si possa dire altro. Forse è più facile rispondere alla domanda “è come te l’aspettavi?”.

Personalmente ho tre sogni nella mia vita, due li ho già realizzati: uno è la persona con cui condivido la mia vita, l’altro è lavorare in rianimazione, il terzo sogno arriverà tra qualche anno e spero non pianga troppo.

I sogni illuminano la vita nella misura in cui sono concretizzabili e fare il lavoro che si ama, come dice Benigni, è un lusso riservato a pochi e io sono uno di quelli. Un detto arabo dice “fai il lavoro che ami, così non lavorerai neanche un giorno in vita tua“. Credo che fare il lavoro che si è a lungo sognato di fare comporti anche una passione che ci coinvolge completamente in tutto ciò che siamo…e non è ovvio. Passione in che senso? Nel senso che investi in quel lavoro tutte le tue energie e questo trasforma il lavoro in una parte di te, in un tuo organo quasi.

Come ha detto recentemente Benigni, parlando della dignità del lavoro, quando noi lavoriamo amando il nostro lavoro, noi trasformiamo il lavoro, ma il lavoro trasforma noi. Una professione, qualunque essa sia, è qualcosa che conferisce a una persona una utilità sociale, un suo ruolo nel mondo, quindi una sua dignità aggiuntiva a quella che tutti abbiamo come esseri umani. Per questo motivo, imparare un lavoro vuol dire esplorare un abisso di conoscenze su chi siamo e dove possiamo arrivare. Esplorare un lavoro implica esplorare noi stessi e questo comporta l’unire due abissi sconfinati e, come dice Nietzsche, quando un uomo guarda dentro l’abisso, anche l’abisso guarda dentro di lui.

Non è affatto facile inserirsi in un contesto intensivo, acquisire le conoscenze è un processo che inizia e continua per tutta la vita e questo lo ritengo molto entusiasmante…l’assenza di un punto di arrivo, in un viaggio che non ha mai fine. In questo periodo sto cominciando a scoprire quali sono le qualità che si confermano in me, quali non sapevo di avere e quali, invece, pensavo di avere ma non ho.

Sto imparando su moltissimi fronti. Esistono della attività di riferimento in terapia intensiva che ti garantiscono di seguire una logica di lavoro. Se impari quella, poi ci puoi costruire sopra negli anni e aggiungere sempre di più. Credo che le difficoltà più grosse siano queste due: imparare la struttura base del tuo lavoro e perfezionarla aggiungendo sempre nuove abilità e contenuti.

In questo momento sto cercando di imparare quale sia la struttura base e già questo richiede un buon livello di impegno. Credo che, però, tutto parta da qui. Se impari un metodo base a quello ti puoi affidare per poi andare avanti e credo che se lo strutturi bene, imparare il resto sarà molto più semplice.

Alcuni consigli per iscriversi a IPASVI Milano-Lodi.

L’iscrizione al Collegio IPASVI è, ovviamente, semplice. Tuttavia ho notato alcune perplessità in alcuni colleghi che si sono “cimentati” nell’impresa. Mi sento di dare alcune “dritte” (se così si possono chiamare) che sono frutto della mia esperienza.

Innanzitutto, vi consiglio il sito internet dell’IPASVI Milano – Lodi in cui è scritto tutto quanto occorre presentare per la domanda: http://www.ipasvimi.it/iscrizioneAlbo.php.

Come è scritto (riporto testualmente):

La consegna del modulo deve essere accompagnata dalla seguente documentazione:

  • Carta di identità (da esibire in originale)
  • Tesserino del Codice Fiscale
  • Due fotografie uguali e recenti, in formato tessera (potete anche farla sulla strada per l’IPASVI perchè in molte fermate della metropolitana ci sono macchinette per le fototessere. Sicuramente ce n’è una alla fermata Duomo, ndr).
  • Originale o copia autenticata del diploma di Infermiere Professionale o Assistente Sanitario, o Vigilatrice d’Infanzia
  • Ricevuta che comprovi l’avvenuto versamento della tassa di concessione governativa (pari a Euro 168,00, da versarsi sul c/c n. 8003, intestato all’Ufficio Tasse Concessioni Governative)
  • Marca da bollo (Euro 14,62) per la domanda di iscrizione.

Andate in Via Adige 20 (ci arrivate con la linea 3 della metropolitana, scendendo a Lodi TIBB) e presentate i documenti. In segreteria vi danno un modulo in cui dovete autocertificare (l’autocertificazione non è rifiutabile, per legge) che siete in possesso della laurea in infermieristica (vi viene chiesto l’università in cui l’avete conseguita, quando e il punteggio).

Allegate a questo modulo i documenti necessari e la segretaria (davvero gentilissima) ritirerà il tutto, rilasciandovi una ricevuta di richiesta iscrizione a IPASVI Milano Lodi.

ATTENZIONE: questa ricevuta permette solo di dimostrare che avete RICHIESTO l’iscrizione a IPASVI, ma NON ha valore legale. Non sostituisce, quindi, il certificato di iscrizione.  Potrete presentare questo documento agli eventuali concorsi/avvisi pubblici ai quali intanto vi potrete iscrivere (anche presso i concorsi pubblici si può autocertificare la laurea in infermieristica, mentre per l’IPASVI è spesso indicato di scrivere “in attesa di conferma iscrizione IPASVI” negli spazi che chiedono il numero di iscrizione all’Albo Professionale).

A questo punto dovete attendere che il Consiglio di IPASVI si riunisca e accetti la vostra domanda di inserimento in IPASVI (per sapere quando questo potrebbe riunirsi il Consiglio, vi conviene chiedere alla segretaria). Personalmente ho atteso circa 3 settimane per avere il certificato di iscrizione.

Una volta che il Consiglio ha deliberato (che mi sembra accada una o due volte al mese) e che, quindi, ha accettato la vostra domanda, potrete recarvi nuovamente in IPASVI e ritirare il certificato di iscrizione a IPASVI che è il solo documento che ha valenza legale e che attesta che voi siete iscritti a IPASVI Milano Lodi.

A questo punto avete il vostro certificato di iscrizione che, come ho detto, è il documento più importante. A questo punto potete lavorare come infermieri nelle aziende ospedaliere pubbliche e private.

Il passo successivo, ma che non impedisce lo svolgimento della professione, è attendere la consegna del tesserino IPASVI (per via posta, mi sembra con ricevuta A/R da firmare, ma non sono sicuro).

Una volta che siete iscritti a IPASVI ricordate (se vi interessa) di stipulare la polizza assicurativa concordata tra IPASVI e Carige. Incollo qui le informazioni reperibili all’indirizzo: http://www.ipasvimi.it/newsCollegio1.php?numeroComunicazione=124

Per aderire alla Polizza l’infermiere associato IPASVI deve:

  • Compilare i documenti per l’adesione e firmarli ove indicato (occorrono complessivamente 6 firme);
  • Effettuare il pagamento del premio (€ 48,00 oppure € 24,00 a seconda del semestre di adesione) sul conto corrente postale n. 50803964 intestato alla Federazione Nazionale Collegi IPASVI.
  • Inviare i documenti per l’adesione e copia del bollettino postale in alternativa: ad uno dei seguenti numeri telefax: 011 244. 35. 22 – 011 248 14 25 – 011 244.34.64 alla casella e-mail: it_affinity@willis.com

ATTENZIONE: La copertura assicurativa decorre dalle ore 24:00 dell’ultimo giorno del mese in cui viene pagato il premio assicurativo tramite versamento postale e inviato il presente “Modulo di Adesione” a Willis Italia SpA. Questo comporta che se voi stipulate la polizza il giorno, ad esempio, 3 Agosto, poi cominciate a lavorare il 10 Agosto, fino a fine mese dovrete lavorare senza copertura assicurativa.

Curiosità: una volta iscritti potrete ritirare (dopo aver ricevuto una raccomandata a casa) il vostro tesserino di iscritti a IPASVI, l’adesivo per il parabrezza della vostra auto (prezzo 1,03 euro), oltre a una bellissima spilla rotonda di IPASVI (che personalmente porto sempre sulla divisa, con un po’ di  orgoglio!).